fiscalità

Seppur in calo pressione fiscale “reale” al 48,3%: 6,1% in più rispetto a quella ufficiale

L 'Ufficio studi che da anni effettua un attendo monitoraggio sull’andamento della pressione fiscale “reale”, ricorda che essa viene calcolata sulla base di un Pil nazionale che include anche l’economia non osservata riconducibile alle attività irregolari, attività che secondo Istat nel 2015 (ultimo anno disponibile) ammontava a 207,5 miliardi di euro (pari al 12,6%); di questi, quasi 190,5 miliardi erano attribuibili al sommerso economico

Secondo i dati elaborati dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre, sui contribuenti italiani che le tasse le pagano puntualmente pesa una pressione fiscale “reale” del 48,3%: 6,1 punti in più rispetto a quella ufficiale. L ‘Ufficio studi che da anni effettua un attendo monitoraggio sull’andamento della pressione fiscale “reale”, ricorda che essa viene calcolata sulla base di un Pil nazionale che include anche l’economia non osservata riconducibile alle attività irregolari, attività che secondo Istat nel 2015 (ultimo anno disponibile) ammontava a 207,5 miliardi di euro (pari al 12,6%); di questi, quasi 190,5 miliardi erano attribuibili al sommerso economico e 17 miliardi alle attività illegali. E sebbene la pressione fiscale totale risulti essere in calo dal 2014, la soglia raggiunta quest’anno rimane ingiustificatamente elevata ancor più considerando, aggiungiamo noi, il profilarsi all’orizzonte dell’ennesimo condono fiscale a beneficio anche di chi le tasse le evade.

pressione fiscale “reale” più peso burocrazia

Se alle troppe tasse – ha dichiarato il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeoaggiungiamo il peso oppressivo della burocrazia, l’inefficienza di una parte della nostra Pubblica amministrazione e il gap infrastrutturale che ci separa dai nostri principali competitori economici, non c’è da stupirsi, come è emerso in questi giorni, che serpeggi un certo malessere soprattutto tra gli imprenditori del Nordest. Tra le altre cose, a causa di tutte queste criticità continuiamo a rimanere il fanalino di coda in Ue per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri”.

Secondo l’Ocse lo stock di investimenti diretti esteri in Italia in rapporto al Pil era, nel 2017, al 21,4 per cento. Nessun altro Paese europeo ha registrato un risultato inferiore a quello italiano. In altre parole continuiamo a non essere attrattivi.

Tuttavia, secondo il segretario della CGIA, Renato Mason, c’è dell’altro: “Oltre all’imponente sforzo economico che anche quest’anno i contribuenti sono chiamati a sostenere, gli italiani devono sopportare anche un costo aggiuntivo legato alle difficoltà nell’ adempiere agli obblighi tributari. Secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale, infatti, in Italia sono necessarie 238 ore all’anno per pagare le tasse, contro le 139 richieste in Francia e le 110 previste nel Regno Unito. Un gap che ci fa capire quanto la cattiva burocrazia presente nel nostro Paese abbia allungato ingiustificatamente i suoi tentacoli”.

Tornado al sommerso, per gli anni 2016, 2017 e 2018 l’Ufficio studi della CGIA ha ipotizzato che insieme alle attività illegali incidano sul Pil nella stessa misura del 2015 (ultimo anno in cui il dato è disponibile). Ricordando quindi che la pressione fiscale ufficiale è data dal rapporto tra le entrate fiscali/contributive ed il Pil prodotto in un anno, nel 2018, al lordo del bonus Renzi, questa è destinata a scendere al 42,2%.

Pressione fiscale “reale” in probabile aumento

Tuttavia, se dalla ricchezza prodotta viene esclusa la quota addebitabile al sommerso economico e alle attività illegali che, almeno in linea teorica, non producono nessun gettito per l’erario, il Pil diminuisce (quindi si riduce il denominatore), facendo aumentare il risultato che emerge dal rapporto. Pertanto, la pressione fiscale “reale” che grava su lavoratori dipendenti, sugli autonomi, sui pensionati e sulle imprese che pagano correttamente le tasse è superiore a quella ufficiale di 6,1 punti: per l’anno in corso è destinata ad attestarsi al 48,3%.

CGIA tiene inoltre a precisare che la pressione fiscale ufficiale calcolata dall’Istat (nel 2018 prevista al 42,2%) rispetta fedelmente le disposizioni metodologiche previste dall’Eurostat. Per il 2019, infine, la pressione fiscale potrebbe tornare ad aumentare sia perché la crescita del Pil è data in frenata da tutti gli organismi internazionali sia a seguito di un possibile aumento del prelievo fiscale.

Nel caso, infatti, non si dovessero trovare 12,4 miliardi di euro, dal 1 gennaio 2019 l’aliquota Iva, attualmente al 10 % salirebbe all’11,5%; altresì, quella attuale del 22 % schizzerebbe addirittura al 24,2. Per quanto concerne le richieste avanzate da Bruxelles, è molto probabile che per il 2019 dovremo metter mano ai nostri conti pubblici per quasi 10 miliardi, dopodiché, bisognerà trovare circa 2 miliardi di euro per il rinnovo del contratto di lavoro degli statali, ulteriori 500 milioni di spese “indifferibili” e altri 140 milioni per evitare l’aumento delle accise sui carburanti a partire dal 1 gennaio 2019.

Viste le difficoltà incontrate con il decreto dignità – concludono dalla CGIA – non è da escludere che almeno una parte di questi 25 miliardi di euro possa essere finanziata attraverso un incremento del prelievo. Un’ipotesi che l’esecutivo ha scartato da tempo, ma al quale potrebbe essere costretto a ricorrere in mancanza di alternative.

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