La mancanza di lavoratori qualificati secondo Confartigianato sta diventando un’emergenza. Complessivamente, infatti, lo scorso anno le imprese italiane non sarebbero riuscite a reperire il 45,1% della manodopera necessaria, pari a 2.484.690 posti rimasti scoperti, con un aumento del 4,6% rispetto al 40,5% del 2022.
Situazione che peggiora ulteriormente verticalizzando l’analisi alle sole piccole imprese che avrebbero avuto difficoltà ad assumere il 48,1% del personale, e per gli artigiani la quota di lavoratori introvabili sale al 55,2%.
A rilevarlo è il rapporto di Confartigianato ‘Alla ricerca del lavoro perduto’ che fotografa una vera e propria emergenza per gli imprenditori italiani ed europei.
E come sta già accendendo da tempo nella filiera serramentistica, l’emergenza provocata dalla scarsità di personale con le necessarie competenze non solo pone un freno allo sviluppo delle attività – e in alcuni casi alla loro stessa sopravvivenza – ma anche alla tanto discussa transizioni ecologia e digitale.
Solo in quest’ambito, lo studio rileva che le PMI non sono riuscite ad assumere 828mila lavoratori con competenze green, mentre per i lavoratori con competenze digitali (big data analytics, internet of things e robot) delle 449mila posizioni aperte 246mila, pari al 54,9%, sono risultati di difficile reperimento.
Per le PMI la difficoltà a trovare lavoratori qualificati oramai supera di gran lunga i problemi della burocrazia, dell’accesso al credito e della concorrenza sleale.
Secondo il rapporto di Confartigianato, la ricerca di personale ha tempi medi di 3,3 mesi che possono superare un anno per trovare operai specializzati. Tutto questo per le piccole imprese ha un costo che viene quantificato in 10,2 miliardi di euro di minore valore aggiunto per le ricerche di manodopera che durano oltre 6 mesi.
Per reagire alla carenza di personale, il 66% dei piccoli imprenditori ha adottato una serie di strategie. In particolare, un quarto delle aziende ha puntato sulla collaborazione con le scuole, soprattutto quelle ad indirizzo tecnico e professionale.
Secondo Confartigianato, infatti, per il 72% dei lavoratori necessari alle piccole imprese è richiesto un titolo secondario tecnico o con qualifica o diploma professionale o una laurea in materie scientifiche, tecnologiche ed ingegneristiche (STEM).
“Per colmare il gap tra domanda e offerta di lavoro – ha dischiarato Marco Granelli, Presidente di Confartigianato – bisogna partire dalla scuola, di tutti gli ordini e gradi, che deve imparare ad insegnare la ‘cultura del lavoro’, mischiando sapere e saper fare, superando la storica separazione tra formazione umanistica e formazione tecnica per preparare davvero i ragazzi ad affrontare un mondo in continua evoluzione.
Crediamo molto nelle iniziative come il Liceo del made in Italy e nei nuovi percorsi di formazione professionale che il Governo ha promosso. Però, affinché funzionino davvero e diano risultati, sono necessari il potenziamento della parte di formazione tecnico-pratica e il coinvolgimento diretto degli imprenditori nel ruolo di formatori”.
E mentre le aziende cercano lavoratori, i giovani inattivi tra i 25 e 34 anni, pari al 24% della popolazione, non cercano lavoro o se “professionalizzati” preferiscono espatriare.
Da sottolineare che in un caso su quattro (24,1%) i giovani inattivi italiani sono in possesso di un diploma di laurea. Percentuale che nel Mezzogiorno sale al 36,8%, vale a dire esattamente il doppio del 18,4% del Centro-Nord.
Con 1.534.000 giovani inattivi l’Italia è al primo posto nell’Ue con una quota quasi doppia di quella registrata negli altri maggiori paesi europei: Germania (13,2%), (12,5%) e Francia (11,7%).